Squatting Supermarkets I

Comprare, indossare, mangiare, usare. Le nostre vite sono piene di oggetti di cui sappiamo realmente poco.
Gli scaffali di negozi e supermercati raccontano storie parziali, fatte di aziende, di produzioni efficienti, di contadini felici che poggiano sacchi di caffè su camion con il logo della Nestlè, di pannelli solari in mezzo alle campagne e sui tetti delle fabbriche, che sembra proprio che abbiano smesso di versare nei fiumi e nell’aria i loro maleodoranti rifiuti chimici, sostituiti da nuovi prodotti collaterali della produzione, dall’odore di fieno e paglia.

iSee, Augmented Reality for complex shopping narratives

iSee, Augmented Reality for complex shopping narratives

Questo guardando in una direzione, quella della produzione. Ma anche dal lato del consumo le corsie del supermercato mostrano famiglie felici (e, mi raccomando, un uomo, una donna e dei bambini; o, al massimo, l’alternativa della persona in carriera, che sostituisce nell’immaginario la famiglia con il business e il fitness), che acquistano con la carta di credito, che si fidano della spiga di grano che, in maniera rassicurante, spicca dalla confezione del prodotto che lanciano nel carrello, proprio come si fidano delle parole “biologico“, “sostenibile” ed “ecologico” che figurano su prodotti di ogni genere.
I grandi punti di distribuzione portano la narrazione a livelli architettonici, progettando la nostra esperienza fin nei minimi dettagli: la sequenza di espositori, scaffali, temi, suggestioni, colori, svolte, strettoie; i suoni rassicuranti che ci annunciano opportunità imperdibili; i temi sociali, ecologici ed economici, per cui tutto il pane è “quello di una volta“, tutti gli shampoo sono “a basso impatto ambientale“, ogni automobile “riduce le emissioni dannose” e ogni sacchetto di caffè è prodotto dai contadini locali su ridenti montagne, dove tutti sorridono tranquilli.
Una visione parziale, progettata, unidirezionale. Non sempre, c’è da dirlo, in malafede: possiamo, per fortuna, scegliere tra migliaia di produttori che hanno oramai scelto la via della sostenibilità, dell’ecologia e del rispetto delle diversità e delle popolazioni deboli. C’è anche da dire, però, che per quel che riguarda questi temi la possibilità di accedere a informazioni e conoscenza diventa un elemento di primaria importanza.

Molte volte l’arte e la creatività hanno affrontato questa suggestione. Vengono in mente i Supermarché Ferraille, e le loro vetrine improvvisate, i loro cartelloni pubblicitari surreali, i loro prodotti distorti. O AdBusters, e le loro campagne di comunicazione sovversive e detournate. O ancora le performance di Banksy, del National Cynical Network. O, in Italia, di Candida TV, di Serpica Naro, di Anna Adamolo, di Luther Blissett, di Liens Invisibles. (… e, per fortuna, di moltissimi altri. Tanto che sarebbe realmente interessante elencare tutte le azioni di questo genere.)

Supermarché Ferraille

Supermarché Ferraille

In tutte le loro azioni uno strato narrativo si aggiungeva alla realtà “ordinaria“, creando spazi liberati per l’interpretazione personale. Il “fake“, il “detournato“, la “distorsione“, il “surreale” e il “rumore” diventano in questo senso possibilità di informazione, di riflessione e di coinvolgimento per corpi e soggettività che, scoperto il “re nudo” tramite una risata o un sincero stupore, si aprivano all’opportunità di dubitare, di discutere, di informarsi, di creare dialoghi, di condividere informazioni, conoscenze ed esperienze.

AdBusters @ Nike

AdBusters @ Nike

La Rete

In questo momento siamo di fronte ad una serie di possibilità aperte ed accessibili, ma di cui ancora stentiamo a definire grammatiche, pratiche, strategie.

La rete porta con sè e rende accessibili una serie di tecnologie e di pratiche che, potenzialmente, rimettono in discussione diverse questioni.

Creare informazione in maniera virtuosa e collaborativa. Produrre e disseminare liberamente conoscenza. Rilevare ed utilizzare la progressiva smaterializzazione della merce creando nuovi strumenti di produzione peer to peer, localizzata. Invadere spazi prima “intoccabili”, grazie alle tecnologie mobili, ubique. Creare ovunque ed in ogni momento spazi di discussione e collaborazione.

Sintetizzare intelligenza, competenza, conoscenza e opportunità secondo un uso contemporaneo della tecnologia. Spostandosi, quindi, dai linguaggi “dell’azienda” e della “tecnocrazia“, per riportare tecnologie e protocolli a destinazioni più umane, corporee, fisiche. L’intelligenza artificiale non è più da cercarsi in quei mostruosi risponditori automatici cui ci ha abituato il cinema e certa fantascienza, ma piuttosto nelle possibilità di sintetizzare contenuti grazie alla rete e alle possibilità di partecipare a processi e ragionamenti. I robot prendono le distanze da quei “cosi” che tentano di replicare comportamenti umani, diventando adesso oggetti invisibili, integrati nell’ambiente, pensati per un uso artificialmente-naturale sul corpo e nelle dimensioni relazionali. Le interfacce stesse scompaiono, rimpiazzate da gesti, da manipolazioni, attraversamenti, sguardi.

In tutto questo, la tecnologia “scompare“, diventando un pezzo consolidato del mondo, una sorta di terzo paesaggio in cui accanto ai ciuffi d’erba che crescono tra le crepe del cemento troviamo informazioni, comunicazioni, emozioni e sensazioni digitali, ad aumentare lo spazio, la realtà.

Aumentare la realtà. Aggiungere spazi interpretativi, espressivi e critici, usando le tecnologie.

Lo stiamo già facendo: sui social network, sui blog, con i telefoni cellulari, con gli SPIMEs.

Candida TV

Candida TV

Corporate rush

E’ interessante in questo senso osservare l’atteggiamento delle corporation.

Non esiste più un marchio a livello internazionale che possa permettersi di non curare la propria presenza sulla rete. Curatori di reputazione online e di presenze sui social network. Creatori di campagne di comunicazione non convenzionale. Crowdsourcers, viral marketers, SEOs, product placers, aggregatori, creatori di false folle di operai digitali che, travestiti da persone digitali ordinarie si infiltrino in grafi sociali, in forum di discussione, in stream, twit, feeds per diffondere mesaggi e suggestioni.

Queste stanno diventando prassi per i colossi e, adesso, sono già gli strumenti con cui i meno grandi riescono ad ottenere margini di vantaggio nello scontro delle comunicazioni di marketing.

Scandali nati sul web e trasformati, sempre sul web, in promozione e profitto. Piece di teatro digitale ospitati nei siti di user generated content, in cui soggetti falsi (o veri.. cosa importa?) denunciavano fatti veri di aziende vere con video falsi, a cui seguivano smentite vere, fatti falsi, promesse false e falsi cambiamenti di atteggiamento da parte delle reali corporations.

Le quali seguono comunque la pratica dell’adozione e dell’assunzione.

Le pratiche libertarie della rete diventano così territorio di conquista, con le corporation che diventano improvvisamente fautori e sostenitori delle licenze aperte, della possibilità di espressione delle persone (degli utenti, in realtà), delle possibilità di comunicare, partecipare, condividere.

E’ un’esplosione di twit, di post, di commenti, di concorsi, di cause, di eventi. E’ un vertiginoso aumentare di termini che “passano dall’altra parte“. Se fino a ieri i dirigenti erano pronti a spezzarti le gambe se osavi commentare o anche semplicemente suggerire, oggi ti mettono a disposizione almeno una mezza dozzina di luoghi digitali in cui raccontare cosa ne pensi del loro operato, di che colore vorresti la prossima confezione del loro prodotto, di quale pettinatura e stile di abbigliamento apprezzi in un dirigente e, soprattutto, di quanto ami internet e la possibilità di colloquiare così apertamente con la tua corporation preferita.

Questa è, naturalmente, una dimensione puramente narrativa utilizzata non per adottare una reale apertura, quanto per operare ulteriore controllo.

Non vengono mai condivise governance e strategie, e il web e le comunicazioni digitali diventano un salotto in cui narrare le gesta del corporativo positivista, un luogo in cui eliminare di fatto ogni possibilità di critica reale, ridotta a scambi di massimo 140 caratteri. Oltretutto assumendo posizioni di forza garantite dall’esprimere filosofie positive e possibilistiche, di origine californiana, che suggeriscono immaginari ben lontani da quelli del controllo e del potere abbraciati dalle realtà corporative.

Tutto viene inglobato nel linguaggio aziendalista, infarcito di “innovazione“, “cambiamento” ed “apertura“.

Nulla, in realtà, cambia.

What’s up?!?

Situazione disperata?

Un po’ sì, naturalmente. Nel pieno del paradosso della crisi globale ecosistematica sono ancora le corporations a poter disporre e distribuire fondi e risorse, grazie a pratiche oscure (almeno per noi “assenti” dai vertici delle corporazioni stesse) e al fatto che, semplicemente, possano accedere ai fondi “finti” ed “inesistenti” creati grazie a pratiche finanziarie piuttosto che produttive.

L’attacco è sistematico, e vede le corporazioni invadere le città con aperitivi tecnologici, meeting della creatività, serate per l’innovazione. Sorgono centri per i creativi, fondazioni per i giovani imprenditori, incubatori per i geni usciti direttamente da Twitter. Le amministrazioni locali e i reali produttori di cultura ed innovazione si piegano, cercando di attingere alle risorse. Anche in buona fede, magari, pensando di riuscire a promuovere punti di vista critici o culturali. Ovviamente nulla di ciò accade, e tutto viene fagocitato dai linguaggi e dai processi dell’azienda per cui i giovani imprenditori si ritrovano “incubati“, i produttori di cultura diventano “innovators“, i ricercatori diventano “R&D“, i filosofi diventano “strategists“, gli antropologi diventano “market strategists“, gli artisti diventano “creativi“, eccetera, eccetera, eccetera.

La magia si applica ancora: i margini si allontanano ancora sempre di più. Solo che, con internet, si possono parlare molto di più.

Squat!

Cosa/Dove/Quando/Perchè.

Siamo in un mondo pieno di codici, pieno di immagini e di simboli che il potere veste di significati, visioni, aspettative, desideri, politiche, strategie. L’appropriazione, ad opera del potere, di codici, linguaggi e pratiche è volta ad estendere il proprio controllo, e a fornire alle persone interpretazioni preconfezionate, desideri in scatola, valori sintetici e ambizioni di plastica.

Da minaccia ad ex-minaccia, le comunicazioni e le tecnologie digitali si stanno trasformando in ulteriore spazio per la codifica. Coniare nuovi spazi pubblici, delimitare quelli privati, stabilire le politiche dell’accesso e della fruibilità offrendo infrastrutture e servizi. E, soprattutto, formalizzare i processi di critica: dal call center a twitter. “Non parlare più con l’operatore 428! Da oggi puoi parlare direttamente con il nostro Amministratore Delegato! Hai 140 caratteri per farlo! Pensa che, addirittura, risponde...”.

Subvertr by Liens Invisibles

Subvertr by Liens Invisibles

La critica si deve spostare.

Cambiare linguaggi, luoghi, metodologie, pratiche. Deve tornare nello spazio, nel corpo, sugli oggetti, dentro le architetture, nei percorsi e nei luoghi del nostro quotidiano. Deve creare e disseminare codici e simbologie, toccando i domini viscerali, comportamentali e riflessivi.

Il mondo, fortunatamente, non può ricondursi a codifiche rigide e predefinite e, quindi, sono e saranno sempre presenti spazi, varchi, interstizi tra un codice e l’altro. E’ stato vero architettonicamente, con i palazzi dimenticati dall’industria. Psicologicamente, con le TAZ. Fisicamente, con i centri sociali, i rave, gli squat, le occupazioni. E nei contenuti, con il subvertising, il detournement, il surrealismo.

Agire tra i codici, in mezzo alle crepe tra le codifiche, e creare segni, parole, forme e flussi. Ricontestualizzare tutto, sovrapporci significati, interpretazioni e spazi per aggiungerne ancora altri, al di fuori del controllo. Perdere il desiderio di dialogare con il potere, per parlare e agire sopra, di lato, sotto.

La tecnologia può offrire adesso opportunità di generalizzare tutti questi approcci, e di trasformarli in strumenti diffusi e accessibili.

Adottare lo squat come metodologia: identificare spazi non codificati, renderli accessibili, usarli come piattaforma di comunicazione, azione ed espressione.

Realtà++

Possiamo aggiungere elementi al reale. E reinterpretarne altri.

Le tecnologie mobili, gli SPIME, le tecniche di computer vision consentono di creare collegamenti tra il mondo fisico e quello dell’informazione.

Queste tecniche, utilizzate fino ad ora dall’industria e dai militari, portano l’informazione direttamente su corpi, oggetti ed architetture. Il riconoscimento di pattern e immagini, la realtà aumentata, i GPS, i sensori, gli smart tag permettono di marcare cose e luoghi, creando un ponte tra questi e i dati che li riguardano. Usando applicazioni ubique, magari implementate sui telefoni cellulari e i dispositivi mobili di nuova generazione, è possibile avere esperienza di questi collegamenti, di “vederli” attraverso i dispositivi che, di fatto, portano nel reale delle nuove sensibilità, dei sensi aggiuntivi che non sono reattivi a luce, suono o odori, ma all’informazione, alla comunicazione, alle correlazioni.

E’ possibile creare una scrittura nello spazio, sopra di esso, sovrapposta e coesistente al mondo ordinario. E fuori da ogni controllo, in virtù della propria immaterialità. Posso scrivere dovunque, e leggere dovunque. Posso rivendicare nei palazzi del potere. Posso criticare nei luoghi del commercio. Posso sussurrare alle orecchie delle persone negli spazi urbani. Posso urlare dentro i luoghi a me inaccessibili.

Squatting Supermarkets II

iSee

iSee

Svoltare l’angolo della corsia. Freddo. Prodotti surgelati. Rumori di carrelli, suoni di bottiglie, plastiche, buste, cartone, rotolar di pasta e cereali. Luce completamente bianca. Scompaiono o si appiattiscono completamente i rossi e rimangono le luci riflesse sulla plastica delle confezioni seriali di alimenti standard dalle forme geometricamente accettabili.

Freddo e parole dietro e davanti, richieste di informazioni, chiamate verso altre corsie, richieste di consensi, smarrimenti.

Mentre sollevo il pacco scelto tra tanti tutti uguali, un piccolo incidente dietro di me: si scontrano due carrelli; vomitano parallelepipedi di cartone, reti in fibra sintetica con dentro arance tutte lucide ed uguali, bottiglie dalle etichette geometricamente psicoattive. La piccola burocrazia dello scontro finisce e tutto riprende nell’ordine: le persone ricominciano a seguire i propri vettori direzionali, dettati dalle abitudini e dalle offerte speciali.

Riafferro il pacco ed estraggo al contempo il cellulare dalla tasca, facendo scorrere il controllo di sblocco con un rapido quanto automatico e calibrato strisciare del mio pollice sullo schermo tattile.

Icone colorate in una mano, una busta fredda e molle nell’altra, piena di mozzarelle dozzinali. Scorro le icone e ne trovo una con un occhio, insistente, bianco su nero. Attivo l’applicazione e subito inquadro con lo schermo del cellulare il logo sulla busta. Premo sul touch screen un pulsante che, nuovamente, raffigura un occhio. L’immagine si ferma, immobilizzando il centro della busta, i suoi colori e le sue forme: rosso, bianco, contorno blu, carattere spesso, leggibile. Una breve attesa. “Prodotto riconosciuto: Mozzarella XYZ”. Le opzioni sullo schermo: “Sono disponibili informazioni su Impatto ecologico, Responsabilità sociale e sostenibilità, Prodotti alternativi. Oppure accedi alla discussione.” 4 icone.

Squatting Supermarkets III

Squatting Supermarkets è una piattaforma. Mentale e tecnologica. E’ un atteggiamento che suggerisce l’uso di diverse tecnologie per creare spazi aggiuntivi alla realtà ordinaria: spazi per la critica, per l’espressione, per l’azione.

L’idea nasce dalla congiunzione di percorsi differenti.

Alcuni estremamente fisici, come quelli che si incontravano all’interno di Superfluo, il supermercato di Roma il cui primo piano è stato a lungo invaso da una gioiosa azione fatta di musica, cose inutili e performance queer, riscoprendo relazioni umane e forme di economia creativa e sostenibile.

Superfluo, (Valeria Guarcini, Dr.Doom, Chiba)

Superfluo, (Valeria Guarcini, Dr.Doom, Chiba)

Altri estremamente immateriali in cui le tecnologie venivano usate per reinterpretare il web, i motori di ricerca, i flussi di informazioni offerti da governi e siti di social networking.

Altri ancora a invadere corpi e menti con nuove forme di sensazione e comunicazione, creando identità completamente nuove per forma e sostanza, o riportandone in vita di vecchie, reimmaginate nel surreale mondo delle realtà virtuali.

E’ il NeoRealismo Virtuale, la creazione di spazi immateriali digitali sovrapposti a corpi ed architetture, come luoghi della narrazione, della performance, del flusso di conoscenza e coscenza.

Squatting Supermarkets IV

Squatting Supermarkets combina diverse piattaforme: iSee, una applicazione iPhone per la creazione di sistemi di informazione e comunicazione localizzati su loghi e simboli; Ubiquitous Publishing, un insieme di tecnologie usate per creare contenuti territoriali ed architettonici, fruibili direttamente dai luogi attraversati usando dispositivi mobili e realtà aumentata; architettura rel:attiva, DpSdC e OneAvatar, una serie di piattaforme tecnologiche in grado di collegare corpi e architetture ad internet e ai mondi virtuali.

Squatting Supermarkets

Squatting Supermarkets

L’obiettivo è duplice.

Da un lato, mettere a sistema pratiche e tecnologie, per creare un framework aperto per creare spazi di realtà aumentata, per collegare corpi e informazioni, per realizzare forme di interattività tecnologica accessibili e naturali.

Dall’altro lato attuare azioni e avviare narrative multiautoriali, diffuse, emergenti.

Squatting Supermarkets @ ToShare 2009, Market Forces

Squatting Supermarkets sarà presente al Piemonte Share Festival, come special project nell’ambito della mostra “Market Forces“, a Torino dal 3 all’8 Novembre 2009.

Squatting Supermarkets

Squatting Supermarkets

Una installazione permanente ed un worshop esperienziale esporranno in varie forme i concetti e le pratiche descritte in Squatting Supermarkets.

Una trama narrativa mirerà a raccontare il retroscena del mercato, della vita dei prodotti, dei loro produttori, dei loro spostamenti, accoppiamenti, accorpamenti.

L’obiettivo è oltrepassare la visione del mondo offerta dai poteri globali e raccontare l’altra parte della storia, fatta di persone, città, ambienti naturali, risorse energetiche, povertà, ricchezze, differenze.

Tre sono i movimenti della narrazione.

1) l’Ambiente. Un iPhone è disposto in modo da permettere ai visitatori di guardare uno scaffale di un supermercato attraverso il visore. Nell’inquadratura, tocando sullo schermo i prodotti sullo scaffale, appaiono informazioni sul loro impatto ambientale, sulle politiche ecologiche e di responsabilità sociale dei loro produttori, sulle statistiche globali della loro produzione, assemblaggio, trasporto. I suoni del supermercato si miscelano a quelli di voci narranti, che raccontano le statistiche e le informazioni.

2) le Storie. Lo scaffale di un supermercato prende vita. Avvicinandosi ai prodotti le voci, i suoni e le immagini dei loro produttori si animano, a stabilire un rapporto con i frequentatori del supermercato, a cui raccontano la propria storia e quella delle loro famiglie, le loro abitudini, le condizioni in cui producono i prodotti che vanno a finire lì, sullo scaffale.

3) i Corpi. Dopo aver dato la parola ai prodotti, la terza parte è dedicata all’espressione delle persone che attraversano gli spazi del supermercato. I percorsi, il movimento delle mani e di altre parti del corpo, e i suoni e le parole di soggeti, carrelli, oggetti, diventano una colonna sonora e una ambientazione visiva generative per l’ultima parte dell’installazione.

Il workshop esperienziale (il 5 Novembre 2009) ci permetterà di raccontare i dettagli tecnici e concettuali dietro la realizzazione del framework e dell’installazione e di sperimentare dispositivi ed applicazioni.